Il Giappone, le sue bellezze e le sue stranezze

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In Giappone lo Stato cerca di togliere le mascherine alla popolazione, almeno all’aperto, ma nessuno vuole farlo

di Gabriele Pizzotti
Il lago Kawaguchi

Dopo il bellissimo tempo trascorso in Vietnam sono andato nella metà più importante del mio viaggio o per lo meno quella che ho sempre sognato fin da quando ero bambino, il Giappone. All’aeroporto di Hanoi non volevano farmi partire, dicendomi che avevo bisogno del visto, ma sapevo che dall’11 ottobre, cioè quel giorno, non ne avrei più avuto bisogno in quanto ho avuto problemi qualche settimana prima per lo stesso motivo.

Mi hanno fatto aspettare circa un’ora al check-in, nel frattempo vedevo tutte quelle persone passarmi avanti prendere il biglietto e dirigersi verso il gate. Dopo un’ora mi stavo già rassegnando ma poi il responsabile è venuto verso di me chiedendomi scusa per l’attesa con in mano il mio biglietto. Vi giuro che sono saltato dalla gioia, volevo abbracciarlo ma ho provato a contenermi. Dopo 6 ore di aereo, finalmente ero con i miei piedi a Tokyo.

La città è piena di tempi buddhisti come quello di Zojo-ji e a pochi passi da lì se volete sentirvi come se foste a Parigi si può visitare la torre di Tokyo. A differenza della gran parte dell’Asia il Giappone è davvero molto caro, quindi qui ho dovuto cavarmela da solo, niente taxi ma solo mezzi pubblici. Per le prime ore ero un po’ disorientato.

Poi ho iniziato a capire come funziona la metro e devo dire che non ho mai visto nulla di così tranquillo, preciso, pulito e silenzioso. Mai un minuto di ritardo ed era perfettamente collegata a google maps, quindi basta seguire quello che dice il cellulare e si può arrivare ovunque. Un biglietto di 10€ per 72h. L’ho consumato il più possibile ma 5 giorni a Tokyo sono davvero pochi e mi sembrava che fossero volati come un singolo giorno.

Nonostante sia pieno di grattacieli è altrettanto pieno di posti immersi nel verde come il parco di Ueno o Hibiya park. A differenza della realtà in cui viviamo, qui è tutto molto diverso. Mi sentivo a disagio con i miei tatuaggi, infatti li ho quasi sempre coperti, tranne quando non si poteva resistere al caldo. Non è una cosa ben vista e se li metti in mostra ogni persona avrà gli occhi su di te.

Per quanto riguarda la mascherina, chiedendo un po’ in giro, loro aveva questa abitudine anche prima del covid. È lo Stato che cerca di forzarli a toglierla almeno all’aria aperta ma tutti preferiscono tenerla. Quindi si va in giro come se il covid fosse appena iniziato ed è una cosa che un po’ mette ansia.

Se si ha intenzione di fumare ci si deve quasi nascondere. Ogni tanto si trova una smoking area, perché è vietato fumare all’aperto come niente fosse. Nessuno o davvero pochissime persone parlano inglese: per loro è molto complicato impararlo. Non che sia strettamente necessario parlare con persone del posto, ma facendo solo un tour ho notato che anche la guida aveva molta difficoltà.

Il tour comprendeva un giorno al monte Fuji, ma solo ai piedi del monte dove c’è il lago Kawaguchi, poi il santuario Sengen Arakura, dove ho rincontrato il mio nemico n.1: “gli scalini”. Trecento scalini per arrivare fino sopra, fortunatamente la fatica viene sempre ricompensata. Di giorno Hie Shrine con la sua piccola scalinata piena di Torii è perfetta per scattare una bella foto, invece di notte si può passeggiare tranquillamente per il centro verso Sakura dori. Si rispettano alla lettera le regole stradali e non si sente mai il suono del clacson.

Se si vuole avere una vista sulla città la SKYTREE è la torre più alta di tutto il Giappone e se siete fortunati ad imbeccare una bella giornata è il punto più bello per vedere il tramonto. Sono andato lì molto presto, sperando che le nuvole svanissero, ma nulla da fare. Ho aspettato che facesse buio per vedere le luci della la città che piano piano si accendono. Lo spettacolo valeva ogni minuti aspettato e compensava quasi quel tramonto mancato.

Non può di certo mancare un po’ di street food al Ameyayokocho: ci sono così tante cose da provare che solo lì ho speso due giorni tra pranzi e cene. Ultima tappa, ma solo per mancanza di tempo e non di posti da vedere, il TeamLab. Si tratta di un museo di arte contemporanea in cui ho dovuto togliere le scarpe per camminare nell’acqua, in mezzo a dei pesci creati con le luci. Il pavimento era tutto uno specchio, c’era una stanza piena di palloni giganti e tante altre cose, ma era impossibile fare foto: era tutto al buio e tridimensionale. Si doveva per forza vivere il momento.

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