Tolo Tolo, stavolta il cerchiobottismo non riesce a Checco Zalone

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Ormai è un trend regolare: ogni 3-4 anni, Checco Zalone esce al cinema all’inizio dell’ anno e fa record di incassi. Se fino a una settimana fa il film con l’incasso più alto della storia italiana era il suo Quo Vado, con “Tolo Tolo” Zalone ha già superato sé stesso: 8,6 milioni nel giorno di uscita, e 30 milioni in una settimana: una cifra impressionante. La ricetta per questo successo senza precedenti è stata semplice: film leggeri con battute spiritose e friubili un po’ da tutti, stereotipi in cui tutti si possono riconoscere, una critica sociale e una satira abbastanza superficiali, e il gioco è fatto. Non stiamo parlando di capolavori della commedia, ma di film simpatici e dimenticabili che fanno passare un’ oretta e mezza spensierati. Insomma, la gente va a vedere Zalone perché sa che è una garanzia e vuole ridere senza pensare ai problemi.

In questo suo nuovo film, Luca Medici (vero nome di battesimo del comico pugliese) invece sceglie di trattare un tema attuale, mai come ora così delicato e divisivo:l’ immigrazione. E allora è difficile essere lo Zalone di sempre che fa staccare il cervello per 90 minuti allo spettatore.

Per la prima volta, è lui stesso a dirigere il film e a co-scrivere la sceneggiatura con Paolo Virzi.

Vorrei partire con i pregi: bisogna dargliene atto, il film è a suo modo audace; tratta un tema emotivamente più pesante del solito mostrando le difficoltà e le atrocità che subiscono i migranti (seppur in alcune scene in modo abbastanza edulcorato), ha delle trovate e degli espedienti registici piuttosto interessanti e originali che mettono in gioco surrealismo e meta-cinematografia, e dal lato comico, per quanto si rida meno rispetto ai film precedenti, non mancano delle battute molto divertenti. Tuttavia, l’operazione “cerchiobottista” che Zalone mette in ogni suo film, stavolta non funziona: film impegnato e film leggero in stile Checco Zalone non si sposano bene, e ne esce fuori un lungometraggio senza una vera identità. A tratti docu-film impegnato, a tratti un susseguirsi di sketch demenziali, a tratti film surreale, a tratti musical fuori luogo. I personaggi sono caratterizzati superficialmente tranne forse per quello di Checco, che però sembra nella recitazione più stanco e meno brioso del solito. Il finale poi è veramente uno schiaffo in faccia allo spettatore: buttato totalmente a caso e che mette una pezza al film senza spiegazioni.

È un film che può piacere a qualcuno ma per la maggior parte destinato a deludere, perché gli amanti del cinema impegnato lo vedranno come troppo superficiale, il consueto pubblico di Zalone invece lo vedrà come troppo pesante e poco comico. Stavolta dare una botta al cerchio e una alla botte anziché fargli raggiungere tutti gli ha fruttato un passo falso. Però almeno ha osato, diamo a Checco quel che è di Checco.

Kevin McNally, 07/01/2019

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