Il CEP è un fallimento politico

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Qualcuno dovrà prendersi la responsabilità politica del disastro del Cep o la politica è diventata del tutto un gioco?

Il disastro del Cep è ormai cosa nota. C’è la Guardia di Finanza che indaga, ci sono gli amministratori che sono stati sostituiti e una dura relazione che parla di spese finanziate impropriamente con i tributi. Dalla spiegazione che si sta cercando di accreditare, il disastro sarebbe dovuto a responsabilità personali. Quel che si sostiene è che l’acquisto della sede (non ancora concluso) tramite acconti e diverse operazioni all’esame della Finanza sarebbero rimaste segrete a tutti o, quantomeno, senza placet politico-amministrativo.

Se in tutto ciò esistono responsabilità penali lo accerterà forse la magistratura ma non è questo che ci interessa ora, perché la ricerca delle responsabilità non può essere sempre demandata ai magistrati, le cui sentenze arrivano dopo anni. Parliamo invece di responsabilità politica, che da quando è stata fatta la riforma Bassanini, che divide le responsabilità dei politici da quelle dei dirigenti, è stata interpretata come “irresponsabilità politica”. Anche se i politici non firmano più atti né contratti, e quindi quando le cose vanno bene si fanno belli e quando vanno male scaricano le colpe, dalla pratica sappiamo che non c’è decisione rilevante che non sia pervasa dall’indirizzo politico tradotto in atti dai tecnici. E allora di responsabilità politica bisognerà pur tornare a parlare. O no?

Quello del Cep è un caso di scuola. Se la politica ha il compito dell’indirizzo e del controllo politico dell’attività amministrativa, allora non può sfuggire che in questa torbida vicenda qualcuno non ha controllato o l’ha fatto alla carlona. E costoro non possono che essere, in ultima analisi, i sindaci e gli assessori al bilancio e tributi di tutti i Comuni che si sono affidati del Cep. Infatti già dall’inizio del 2020 la Corte dei Conti aveva lanciato dei campanelli d’allarme che sembrano essere stati bellamente ignorati. Analizzando i bilanci di Artena, Cave, Genazzano e Gallicano nel Lazio, la Corte aveva infatti già messo nero su bianco a febbraio 2020 che la riscossione con il Cep non andava. Evidentemente chi aveva scelto di entrare nel Cep, parlando di “evasori con le ore contate” non aveva fatto la scelta giusta o non era stato in grado di tutelare gli interessi dei Comuni.

Ora, a frittata fatta, con il nuovo piano di risanamento del consorzio si spera di evitare la liquidazione e di recuperare i soldi che i cittadini hanno versato. In più si sta cercando di limitare i danni dicendo che chi ha creato la voragine nella società pubblica ha agito senza informare nessuno. Ma ciò sembra piuttosto un’aggravante per chi ha avuto il ruolo di sindaco e di assessore al Bilancio negli ultimi quattro anni. Persone che sembra si siano fatte scappare di mano la situazione. Non va dimenticato infatti che i tributi sono stati affidati al Cep con il presupposto del “controllo analogo”.

Cos’è? I servizi pubblici si possono affidare senza gara solo verso società pubbliche in un solo caso: se il Comune che affida detiene una quota del consorzio ed è in grado di vigilare sull’attività di quell’ente come se fosse un proprio ufficio. Insomma, per legge, i Comuni dovevano (e devono) esercitare sul Cep una vigilanza stringente. A ciò si aggiunga che, come è noto, per prassi non c’è nomina disponibile che avvenga senza copertura politica. Stando così le cose, sul Cep o non è esistito il controllo analogo o le amministrazioni non si sono fatte valere, risultando piuttosto accondiscendenti. Forse erano più attente alle politiche del personale che al controllo di gestione e all’efficienza?

Si aggiunga che la finalità di affidare i tributi al consorzio era quella di aumentare la percentuale di riscossione. Un risultato che, da quanto ha scritto la Corte dei Conti, non si è raggiunto. Anzi, per lungo tempo lo stesso ente si è tenuto i soldi riscossi dai cittadini e ci ha pagato parte delle proprie spese. Su tutto ciò non serve aspettare le eventuali sentenze della magistratura perché appare evidente che quelle scelte politiche fatte si sono rivelate fallimentari. E mi stupisce che chi le ha fatte non si sia ancora pentito, riconoscendo l’errore e traendone le dirette conseguenze. Almeno su questa vicenda il tempo è già stato galantuomo.

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