4 novembre: giorno di pace in cui nacque la Patria

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Un secolo fa l’armistizio che pose fine alla Grande Guerra

Cento anni fa si smontarono le baionette e finalmente si pose fine alla guerra più sanguinosa che sia mai stata combattuta in Europa. Era la fine della Prima Guerra Mondiale, per la quale morirono 650 mila italiani e un altro milione di italiani fu ferito. Una tragedia immane che provocò tra i 15 e i 17 milioni di morti. 65 milioni se si considera anche la “spagnola” del ’18-’19.

Si è detto spesso che si trattò del primo evento drammatico della storia in grado di unire la popolazione italiana. Gomito a gomito si ritrovarono a combattere, a morire o a sopravvivere, siciliani e milanesi, toscani e marchigiani, polentoni e terroni. Molti partirono volontari, con il sogno della “guerra democratica” contro le potenze imperiali e autoritarie, molti altri eseguirono semplicemente gli ordini, con non meno onore e dignità. Tutti sottoposti, al fronte, ad una disciplina ferrea quanto inumana, piena di punizioni, deferimenti ai Tribunali militari, malnutrizione, financo fucilazioni.

A chi non imbracciava le armi non toccò sorte migliore. Interi paesi furono deportati dai teatri di guerra verso altre regioni, in cui presero nuove abitudini e tradizioni. Dalle valli del Trentino, ad esempio, gli abitanti furono spostati in Puglia, dove le condizioni non furono meno gravi a causa di siccità e fame. Chi non abbandonò la propria casa, si trovò a salutare o dire addio a un padre, un figlio, un parente o un amico.

Intere generazioni furono perse nelle trincee e negli assalti sconsiderati alla baionetta. Oppure nelle cariche di cavalleria falcidiate dalle mitragliatrici. La guerra non risparmiò nemmeno i più giovani, con i Ragazzi del ’99 chiamati nel 1918 a lavare l’onta di Caporetto con il trionfo di Vittorio Veneto. E, finita la guerra, la “spagnola” fece il resto.

La Grande Guerra, e i 17 milioni di morti che provocò, è in un certo senso l’origine del sentimento italiano di Patria e anche di tutto ciò che accadde nei successivi quarant’anni. L’origine cioè dei partiti di massa, della riforma degli apparati militari, dei razionamenti, dell’economia di guerra e dell’entrata della donna nel mondo del lavoro. L’inizio dei movimenti che portarono alle agitazioni sociali e alle dittature e alla Seconda Guerra Mondiale. L’inizio dei sussidi alle famiglie che persero i propri cari in battaglia, dell’impiego delle armi chimiche, della diffusione dell’influenza “spagnola”, dello studio del disturbo post-traumatico da stress e pure del “grappino prima della guerra”. Infatti ai soldati mandati a morire nelle cariche contro le mitragliatrici veniva fatta bere grappa a volontà, per affrontare la paura della morte. Oggi di quella pratica rimane il modo di dire tra gli anziani.

Della Grande Guerra restano, tramandati forse dagli anziani, i racconti dei nonni e dei bisnonni che non ci sono più, i monumenti in ogni paese con incisi i nomi dei caduti e i monumenti ai militi ignoti, i sacrari, le foto, le lapidi con i Bollettini del Comandante Supremo Armando Diaz. Rimangono le canzoni più tradizionali degli Alpini e del Novecento italiano, da Ta pum a La Leggenda del Piave, che da molti viene considerata il vero inno nazionale italiano. Spiegare oggi cosa sia stata la Grande Guerra sarebbe pressoché impossibile se non ci fossero due film: uno è La Grande Guerra di Mario Monicelli, con Alberto Soldi e Vittorio Gassman; l’altro è Don Camillo e l’onorevole Peppone. Vedere (anche su youtube) per credere. E ritrovare le proprie radici.

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