Se la Repubblica non è fondata sul lavoro

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Da qualche tempo, a sprazzi, si discute sullo “zoccolo duro” della nostra Costituzione e in particolare sul primo articolo. L’anno scorso fu Angelo Panebianco (riprendendo un tema del 2011) a mettere in dubbio la bontà della prima parte della Carta. L’editorialista proposte allora di cambiare l’articolo 1 comma 1, affermando che sarebbe stato meglio se la Repubblica fosse fondata sulla libertà anziché sul lavoro.

Ancora prima, l’articolo 1 comma 1 della Costituzione era finito sotto attacco da parte di Brunetta. Era il 2010 e l’onorevole sosteneva che dire che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” non vuol dire niente. Ieri uno scrittore ha sostenuto che l’incipit della Carta “è un obbrobrio” ma agli artisti si deve concedere il beneficio della licenza poetica. Altri ancora vorrebbero la nostra Repubblica fondata sulla felicità, oppure sulla libertà, o anche sulla poesia, o infine sulla bellezza.

Tuttavia nessuno di questi concetti vuol dire effettivamente qualcosa se non messo in pratica, così come il diritto al lavoro. Probabilmente è anche vero che nessuno di essi ha una forza comparabile alla concretezza della speranza di lavorare per i tanti che credono nello stato di diritto, che vogliono guadagnare la propria autonomia e che sono costretti alla disoccupazione per la stagnazione economica.

Se è nei periodi di crisi che servono le Carte Costituzionali, forse, senza niente togliere a libertà, felicità e poesia, sarebbe meglio non continuare a mettere in dubbio anche una sol mera dichiarazione programmatica della speranza di un’occupazione che chiunque in difficoltà può rivendicare. A meno che non sia un modo per farci velatamente capire in che direzione si intende andare…

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