Centri storici, Serafini: “Le reti sociali solide potranno resistere solo nei paesi”

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Il futuro dei centri storici e i problemi aperti secondo Stefano Serafini, della Società Internazionale di Biourbanistica. “Se dopo che mi trasferisco non so di che campare e devo sobbarcarmi tutte le spese della ristrutturazione, mi stai regalando una casa per andare a vivere in prigione”

Il centro storico di Artena è il “borgo più vivibile del mondo”? Eppure Sky gli ha dedicato solo 5 minuti ieri sera. È perché va riqualificato? Per farlo alcuni hanno sempre pensato al progetto delle “case a 1 euro”. Cioè al progetto delle case vendute solo a un euro allo scopo di ripopolare molti borghi italiani condannati allo spopolamento e al deterioramento delle abitazioni. Ma questo progetto non ha avuto i risultati sperati nella maggior parte dei comuni che hanno aderito all’iniziativa, come ad esempio Patrica. Perché l’iniziativa è stata un flop? E cosa fare con i centri storici? Ne abbiamo parlato con Stefano Serafini, segretario generale per la Società Internazionale di Biourbanistica (ISB, International Society of Biourbanism).

Può spiegare quali sono stati i risultati del progetto “Case a un euro” per ripopolare i borghi italiani?
“Il progetto della vendita di “Case a un euro” è stato per la maggior parte dei comuni un flop. Il paese dove sono state vendute più case è stato Mussomeli in provincia di Caltanissetta, dove le case sono state acquistate per lo più da stranieri con l’ amore per l’Italia e tanta iniziativa nel sistemarle, ma un progetto così agli italiani fa meno appeal”.

Come mai secondo lei?
“Per vari motivi. Innanzitutto la prospettiva di andare a vivere in borghi sperduti in provincia per molti non è allettante, perché risentiamo ancora del processo di migrazione dalle campagne alle città in atto da mezzo secolo dal boom economico; la provincia in genere non offre lavoro, non offre servizi od opportunità. Oltretutto non in tutti i comuni è possibile acquistare queste case esclusivamente come seconde case, quindi molti pensano: “Ma chi me lo fa fare?”

Quindi secondo lei non ha senso un’ iniziativa del genere?
“L’iniziativa non è sbagliata in sé, il presupposto lo è: se un comune decide di regalare delle case, ma non attua nessun altro progetto parallelo per dare un senso di fondo al vivere in paese, è ovvio che l’idea sia destinata a fallire. Se dopo che mi trasferisco non so di che campare e devo sobbarcarmi tutte le spese della ristrutturazione, mi stai regalando una casa per andare a vivere in prigione. A queste iniziative, che lanciate da sole lasciano il tempo che trovano, è necessario coadiuvare una progettualità più lungimirante per ridare valore e senso alla vita in una piccola comunità, altrimenti si sta solo svendendo un paese”.

“Faccio un esempio: fino ad alcuni decenni fa era preferibile vivere in centro città perché c’erano più servizi; dopo un po’ i costruttori hanno cominciato ad edificare palazzi nuovi e più moderni nelle periferie, incoraggiando molte persone a comprarvi casa dal momento che anche i servizi di prima necessità si potevano facilmente trovare. Ora che il covid ha reso palese a tutti quanto qualsiasi attività o quasi si possa svolgere da casa con una buona connessione, fondamentalmente il concetto dell’importanza nel vivere al centro non esiste più, perché il concetto stesso di “centro” è sfumato: la vita si muove nella rete; si sta venendo a perdere, però, il contatto umano fra le persone e sta scomparendo l’idea di comunità fisica”.

Quindi lei dice che trasferirsi in paese sarebbe un’occasione per recuperare un senso di comunità che nelle città si sta perdendo?
“Si, ma i sindaci in genere sembrano non capire questo concetto, perché nel pratico non viene fatto nulla per investire sul senso di comunità che un paese può offrire. Che senso ha trasferirsi in un borgo antico comprando una casa ad un euro per sentirsi un totale estraneo? Prevedo che i paesi, da qui a poco, saranno l’unico contesto in cui potranno resistere delle reti sociali solide: la crisi del covid ha solo accelerato un processo che era iniziato, bisogna solo prenderne atto e porre le condizioni per attrarre veramente chi vive male la città in un borgo. Il progetto case a un euro è stato un flop proprio perché queste condizioni, salvo un paio di eccezioni, non sono state poste”.

Nel Lazio abbiamo l’esempio di Patrica, vicino Frosinone, che è stato uno dei flop: perché nel Lazio ha aderito solo quel comune, che nemmeno è uno dei più abbandonati?
“Non lo so onestamente, non sono di Patrica e non conosco il caso nello specifico: l’iniziativa non è stata presa solo dai paesi più disabitati e isolati, ma da quelli con le amministrazioni che reputavano questa iniziativa più interessante: iniziativa con tutti i limiti che ho elencato, se presa senza una maggiore visione d’insieme.”

Lei vive al centro storico di Artena da anni ormai: avrebbe senso il progetto “case a un euro” ad Artena?
“Io proposi anni fa alle amministrazioni comunali di rimuovere alcune case pericolanti e di intervenire con lavori di manutenzione su altri edifici pericolanti: mi fu detto che avrei dovuto pensarci da solo, ma in realtà non rientrava nelle mie competenze… in questi casi ci si scontra contro un muro di mancanza di progettualità ed interesse. Case a un euro potrebbero essere anche vendute ad Artena, e poi? Senza nessun servizio al centro storico quale sarebbe il senso dell’operazione?”

Non pensa che, vista la sua posizione strategica, il comune di Artena non riterrebbe opportuno vendere delle case praticamente gratis?
“Guardi (ride, ndr) io penso che chi di dovere nemmeno si ponga tali quesiti. Il centro storico è abbandonato da anni, non vedo nessun segno di politica urbanistica sul territorio, eppure è uno spreco: al di là degli spiacevoli fatti di cronaca recenti, Artena possiede una comunità più inclusiva di molti altri paesi, un patrimonio storico e un borgo invidiabili. Per renderli appetibili non servono manovre di marketing che lasciano il tempo che trovano, serve ripartire dalla cosa più importante che una comunità ha: le persone. Una volta che si investe seriamente sull’educazione, sulla cultura, e sul far rinascere un vero senso di comunità, poi si può parallelamente lavorare su iniziative di questo genere. Altrimenti ogni tentativo di far rinascere i borghi sarà fallimentare”.

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