La sentenza penale che fa a pezzi due anni di stato di emergenza

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Un giudice penale a Pisa ha assolto tre imputati sentenziando che la dichiarazione dello stato d’emergenza non è legittima e affermando che la compressione dei diritti costituzionalmente garantiti “ha raggiunto e superato il limite massimo di tollerabilità”

Pisa come Frosinone. Diversi mesi fa un Giudice di Pace di Frosinone aveva dichiarato l’illegittimità dei DPCM di Conte e li aveva disapplicati. L’altro giorno, invece, un giudice penale ordinario ha assolto tre imputati dal reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità.

La formula è la più ampia (“perché il fatto non sussiste”) e non comporta nemmeno la trasmissione degli atti al Prefetto per l’irrogazione delle sanzioni amministrative. I tre avevano violato le disposizioni di uno dei DPCM del presidente Conte durante il lockdown del 2020, che imponevano a tutti di non uscire di casa.

Di recente un altro Tribunale, il Civile di Pesaro, ha annullato una multa a un ristoratore che aveva aperto durante il coprifuoco delle 18. In quella decisione si afferma l’illegittimità dei DPCM di Conte. Invece nel caso della sentenza della dottoressa Lina Manuali di Pisa (si può scaricare dal sito labparlamento.it) si va oltre.

Le motivazioni della sentenza di Pisa sembrano delineare una pronuncia miliare perché emessa da un giudice penale ordinario, anche se non avrà ulteriori effetti oltre il caso deciso. L’importanza della sentenza sta nelle motivazioni, che ritengono illegittimo non solo i DPCM del Governo ma anche lo stato d’emergenza dichiarato nel 2020 e rinnovato dal Governo Draghi fino ad oggi.

Uno stato d’emergenza senza fondamento giuridico

Ad essere presa di petto è proprio la dichiarazione dello stato d’emergenza deliberata dal Consiglio dei Ministri. Si trattò di un provvedimento amministrativo deliberato in forza del Codice di Protezione Civile. Ma quel Codice, che sarebbe dovuto essere la norma primaria a copertura del provvedimento, secondo il giudice non è idoneo in quanto l’emergenza pandemica non rientra tra quelle previste dalla legge.

Nessuno stato d’emergenza in Costituzione se non lo stato di guerra

In secondo luogo i DPCM e lo stato d’emergenza secondo il giudice di Pisa non hanno nemmeno fondamento nella Costituzione, che non prevede stato di emergenza o di eccezione all’infuori dello stato di guerra deliberato dalle Camere. E ciò fu una scelta deliberata della Costituente.

“L’assenza di uno specifico diritto speciale per lo stato di emergenza – si legge nella sentenza – è frutto di una consapevole scelta dei padri costituenti (…) onde evitare che attraverso dichiarazioni dello stato di emergenza si potessero comprimere diritti fondamentali con conseguente alterazione dello stesso assetto dei poteri”.

Temporaneità e riserva di legge tra i principi dei provvedimenti emergenziali

D’altra parte lo stesso giudice di Pisa fa presente che nell’ordinamento costituzionale in dottrina si può rinvenire un “implicito statuto costituzionale dell’emergenza” che si fonda sui “tradizionali principi del primum vivere e del salus rei pubblicae”. Cioè sulla tutela della vita e della salute pubblica.

Ma in questi casi nella sentenza si argomenta che la limitazione dei diritti “deve avvenire nel rispetto dei principi della legalità, della riserva di legge (assoluta o relativa), necessità, proporzionalità, bilanciamento e temporaneità, in quanto altrimenti si determinerebbe l’insorgere del cosiddetto diritto tiranno con conseguente non solo violazione della Costituzione ma addirittura superamento del perimento delineato dalla carta costituzionale”.

È questo il motivo per cui il Tribunale penale di Pisa in composizione monocratica si è addentrato nell’esame della “composita filiera normativa emergenziale posta in essere dal Governo” per verificare se “rispetti o meno i principi enunciati”. E la risposta (sintetica) è che non li rispetta proprio perché il rischio sanitario non rientra tra quelli per cui il Codice di Protezione Civile prevede la gestione emergenziale.

La delibera “illegittima” del Governo

La delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020 – sentenzia infatti il giudice – è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi”. A fronte di ciò “devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid 19, nonché – aggiunge il giudice – tutte le successive proroghe dello stesso stato d’emergenza”.

Tutto ciò secondo il giudice penale di Pisa ha comportato la violazione dei “principi di legalità e di riserva di legge, in quando – nel modello emergenziale costruito dal Governo – le libertà fondamentali sarebbero state limitate formalmente da norme di rango primario ma nella sostanza sono state compresse dai DPCM, atti di natura amministrativa”.

Nella sentenza si argomenta anche che le proroghe dello stato d’emergenza, anche fossero legittime, hanno solo dimostrato “il passaggio dallo stato d’emergenza epidemiologico alla gestione ordinaria dell’epidemia, con conseguente venir meno dei presupposti di temporaneità e, dunque, di straordinarietà”. Infine, anche ammettendo le proroghe, tale stato d’emergenza secondo il giudice si sarebbe dovuto concludere a luglio 2022 o, al massimo, il 31 gennaio 2022 e non alla fine di marzo.

La limitazione delle libertà fondamentali non può andare oltre

Può proseguire oltre la deroga al rispetto dei diritti fondamentali? Il giudice di Pisa dice di no, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale sulla sospensione degli sfratti che riconosce che “non vi è possibilità di ulteriore proroga”. E se ciò vale per gli sfratti “a maggior ragione deve pervenirsi a siffatta conclusione – scrive il giudice di Pisa – in merito alle libertà e agli altri diritti fondamentali, evidenziandosi come, in questo periodo emergenziale, tutte le libertà costituzionali siano state trasformate in libertà autorizzate” secondo la felice definizione del prof. Alessandro Mangia su ilsussidiario.net. Si legge infatti nella sentenza:

“Con il susseguirsi – spesso in sovrapposizione tra loro – di decreti legge e DPCM, si è assistito all’introduzione di sempre più stringenti restrizioni e limitazioni nell’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali, fino ad arrivare ad incidere sui diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, con violazione dell’art. 36 Cost, il quale riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione”

La compressione dei diritti “ha raggiunto e superato il limite massimo di tollerabilità”

La critica alle normative di questi due anni risulta serrata, tanto da prospettare il superamento del limite invalicabile del rispetto della persona umana sancito dall’articolo 3 della Costituzione e la possibile violazione di Trattati internazionali o della Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’Uomo. Infine, venendo meno lo stato di emergenza, devono venir meno anche restrizioni.

“Per cui – si legge in sentenza -, nel momento in cui viene meno lo stato di emergenza, i diritti e le libertà fondamentali debbono riespandersi nel loro alveo originale, poiché la compressione degli stessi ha raggiunto e superato il limite massimo di tollerabilità; compressione che non può ulteriormente protrarsi, né a tempo predeterminato, né, a maggior ragione, ad libitum, attraverso continui e reiterati prolungamenti di operatività”.

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