I ristoratori tra i dubbi sul futuro e la richiesta di “scudo penale” anti covid-19

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Anche i ristoratori della zona si stanno interrogando su come e quando riaprire le attività, con l’incognita del covid-19, le sanificazioni, i possibili contenziosi e la redditività dell’attività

Il 18 maggio prossimo potrebbero riaprire al pubblico bar, ristoranti, pub, parrucchieri, estetisti, pasticcerie etc etc. A deciderlo sarà la Regione Lazio sulla base della situazione epidemiologica e dei protocolli messi a disposizione dal Governo, dal Comitato Tecnico Scientifico e dell’INAIL. Nell’attesa però i dubbi crescono sulla redditività dell’impresa, sulla necessità di fare sanificazioni dei locali, sul rischio di contenzioso civile e anche penale in caso di lavoratori contagiati da coronavirus.

La novità del Decreto Cura Italia e la circolare dell’INAIL

A preoccupare soprattutto i ristoratori che hanno dipendenti è la novità introdotta dal Decreto Cura Italia sull’eventuale contagio da sars-cov-2 da parte dei lavoratori. Il Decreto infatti dispone che per i contagi in occasioni di lavoro, il medico certificatore invia il certificato d’infortunio direttamente all’INAIL, che dà copertura assicurativa all’infortunio. E ciò riguarda sia i datori di lavoro privati che quelli pubblici.

Una circolare dell’INAIL (scaricabile qui) ha poi classificato le attività lavorative in base al rischio, mettendo cassieri, addetti alle vendite, banconisti e quindi anche camerieri tra le categorie ad alto rischio, per le quali “vice il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari”. Tradotto: se uno dei lavoratori contrae il virus in occasioni di lavoro, si presume che lo abbia contratto sul lavoro e quindi spetta al datore provare che non sia così. Se invece a contrarre il virus è un lavoratore di una categoria a basso rischio, spetterà al lavoratore la prova del contagio sul luogo di lavoro.

La preoccupazione dei ristoratori: “Ci vuole uno scudo penale”

Quando si è diffusa la notizia, i datori di lavoro privati hanno subito visto davanti a sé un’ulteriore possibilità di essere chiamati in cause civili e penali. Per questi motivi, la scorsa settimana alcuni ristoratori hanno organizzato una web-conference (moderata da questo giornale) con un esperto di sicurezza sui luoghi di lavoro e un avvocato esperto di diritto d’impresa.

Dal confronto è emersa la necessità di attendere la pubblicazione dei protocolli operativi in preparazione (clicca qui per leggere quello sulla ristorazione) e di attenervisi al fine di ridurre il rischio di eventuali procedimenti con esito negativo. Tali protocolli sono usciti stamattina e sulla base di essi pare già evidente che i ristoratori dovranno sensibilmente ridurre i posti a sedere.

Ogni cliente ci vorranno 4 metri quadrati (10 clienti in una sala di 40 mq) e i tavoli dovranno essere a una distanza minima di 2 metri. Soltanto per le famiglie si potrà fare un’eccezione, previa presentazione di un’autocertificazione. Ma anche in questo caso ci si domanda se si tratta di nuclei familiari o anche famiglie allargate. Secondo uno studio FIPE, tali norme porterebbero in media a una riduzione dei posti a tavola intorno al 30%.

Se si aggiunge anche la necessità di fare sanificazioni certificate (così da provarne l’avvenuta esecuzione) e non in proprio, si vede che oltre al rischio del contenzioso si introduce nel settore anche un ulteriore costo che andrà ad incidere sulla redditività. “Quello che ci preoccupa – dice un ristoratore della zona – è un’ulteriore rischio d’impresa a causa di un nemico invisibile e in un contesto lavorativo che è fortemente caratterizzato da socialità e contatto con il pubblico. È per questo che ci vorrebbe uno scudo penale per noi ristoratori, altrimenti riaprire sarà difficile”.

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