“Meglio dimettersi e immergersi in un anno di piazze”

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L’appello di Alessandro Coltrè: “Artena può uscire dal lockdown politico solo con la piazza”

di Alessandro Coltrè
Alessandro Coltrè

Artena vive una specie di lockdown politico che dura da due anni. Le cittadine e i cittadini lo sanno, ne hanno contezza ma ormai c’è un distacco da alcune questioni politico-amministrative, perché sembra sempre tutto identico. C’è chi prova a colpevolizzare i cittadini, come a dire ” è colpa vostra se è così, perché li avete votati e  perché non protestate”. Frasi riduttive, che alla fine non distinguono ruoli, poteri e responsabilità.  

Mentre la maggioranza delle persone deve far fronte al caro energia, alla precarietà, alle incertezze dei tempi che attraversiamo, al bancomat della posta che non funziona, all’isola ecologica che non c’è, esiste una sorta di ordine di scuderia di Felicetto Angelini che punta a far passare questi anni come se nulla fosse accaduto. Punta alla memoria del pesce rosso, punta alla restaurazione e al vittimismo, a salvare il proprio destino, intrecciandolo per forza  a quello di migliaia di persone. Senza piazze, senza voce pubblica, senza confronto sui milioni e milioni di euro di debito, sulla sottrazione dei servizi e di possibilità per il paese. 

Artena fai da te

“La nostra risorsa è il volontariato”. Quante volte pronunciamo questa frase? Eppure diamo per scontato quel tipo di impegno, mentale e fisico, da parte di gruppi diversi che in qualche modo hanno sostituito anche l’istituzione. Tante le pacche sulle spalle, poche le occasioni per ascoltare gli affanni, i desideri, ma anche le critiche e la rabbia di chi fa attivismo. Il volontariato va bene solo se è buono, propositivo, se l’Artena fai da te  sfida l’esistente sembra dare fastidio. 

Come si esce da questo lockdown politico

In questa situazione il rischio è quello di commentare più che di ragionare; di rispondere con livore alle parole dei giornali e dei tribunali. Il rischio è quello di passare troppo tempo a resocontare le macerie di chi pensa di possedere la città, sottraendo così persone e occasioni a un processo politico ampio, fatto di ascolto, scontro e di trasformazione sociale. Ma come si esce da questo lockdown? 

Riunire  il consiglio comunale non ha più senso

Le difficoltà possono essere raccontate, descritte, ma evidentemente Alfonso De Angelis, Lara Caschera e gli altri preferiscono l’evanescenza e l’afonia; l’assenza di voce sostituisce la presa di responsabilità. Preferiscono fare riunioni di una maggioranza inesistente, preferiscono essere presenti nelle occasioni pubbliche solo se possono essere accostati al commissario prefettizio, che invece è lì per una loro mancanza politica. Come se tutto questo fosse faccenda privata, come se dovessero soltanto rendere conto a una sola persona e non a una comunità. 

Fare politica è un’azione collettiva

Il consiglio comunale non ha più senso, è stato svilito. Privato di ogni capacità di lavorare sui temi e sulle condizioni materiali di vita, il consiglio comunale è diventato un rito stanco. In questi anni sono stati rilasciati rapporti da istituzioni pubbliche e da tante fondazioni che avrebbero potuto arricchire e problematizzare il ruolo della politica locale, in un quadro difficile visto che – tanto per inquadrare la situazione – nella nostra Regione, insieme alla Calabria, secondo gli economisti Baldini e Patriarca, dal 2008 a oggi le disuguaglianze sociali sono cresciute più di altri territori. 

Poco passa dal consiglio comunale, nulla nascerà in quella stanza. Le opposizioni contrastano questa situazione? Il problema è che molte delle loro azioni possono essere interpretate come un attacco, soltanto come un attacco composto da un susseguirsi di ricorsi al Tar, comunicati e di risposte. Ma c’è di più in opposizione? In questi anni Silvia Carocci ha saputo coinvolgere singolarità differenti, consegnando idee e ragionamenti su cosa potrebbero essere Artena e  il territorio. Il problema è che restare legati ai soli gruppi consiliari potrebbe depotenziare le azioni di chi è percepito come un’alternativa.

L ‘ultima assemblea pubblica delle opposizioni aveva un messaggio: “ci dimettiamo, fatelo anche voi”. Risultato? Nessuna risposta da quel che resta della maggioranza. Una conseguenza scontata forse. Cosa resta di quel giorno? Se a quella proposta di dimissioni non ci sarà un’azione, pochi capiranno il valore di quell’incontro pubblico. Lasciare quel consiglio comunale oggi può essere invece interpretato come la fine  di un’era politica. Che sia di Alfonso De Angelis quella roccaforte di inadeguatezza! 

Un anno di piazze. Non servono posizionamenti o una campagna elettorale di pochi mesi 

Il secondo mandato di Angelini è durato un anno e mezzo. Forse questa specie di commissariamento trascinerà Artena fino al 2024. Durerà di più del mandato politico effettivo. A questa quarantena prolungata bisogna rispondere con un anno di piazze, di incontri territoriali, di occasioni di dibattito con esperienze di altre città, paesi e regioni. Esistono dibattiti e avvisi pubblici che la città neanche conosce: il percorso sulle comunità energetiche, i nuovi fondi regionali per le aziende locali, la programmazione sulle imprese di comunità. Un altro esempio: Lazio Aggrega, un nuovo bando per destinare 100mila euro alle comunità giovanili per la gestione e la ristrutturazione di spazi pubblici. 

L’ attesa di Angelini non può essere anche uno stallo definitivo per tutti. Come si possono pensare politiche pubbliche se non ci sono momenti collettivi? La risposta non può essere un appuntamento estemporaneo, ma un processo lungo, vivace, inedito. In concreto, bisogna uscire da questo lockdown con un programma permanente di incontri pubblici, capaci di segnalare prospettive, problemi e possibilità.

Bisogna discutere di come intendiamo il ciclo dei rifiuti, le rette dell’asilo nido, gli usi civici,  il welfare.  Ragionare su come ripensare la città richiede tempo, non si risolve con una tornata elettorale, non può essere un’azione portata avanti in pochi mesi prima delle elezioni. Parlare per slogan o attraverso le stesse quattro frasi rischia di essere un’operazione poco coinvolgente e che allontana energie.

Non basta dire “pensiamo ai giovani”, se poi la città sembra non accettare le loro grammatiche. Se poi la città sembra non convocarli mai. Non basta dire “puntiamo al turismo” se poi non c’è un piano serio sulla residenzialità e sui servizi. In  politica le visioni sono ragionamenti e movimenti di idee, a volte inediti, inaspettati. Altrimenti sono miraggi, illusioni che difficilmente diventeranno crescita collettiva.

Una comunità deve anche potersi scegliere in base a delle idee, in base a  come vuole stare insieme. Per farlo si passa per le piazze, solo così questo lockdown politico potrà essere superato. Solo così potranno nascere richieste e segnalazioni durante questo commissariamento. Altrimenti passeremo il tempo solo a difenderci.  Solo così lo sconforto dei singoli si può trasformare in una sana tigna collettiva. L’ appello è dunque quello di riempire un vuoto nello spazio pubblico. L’invito è di lasciar soli chi vuole coltivare le ceneri di una fenice che non rinascerà tra i banchi del consiglio comunale.

Alessandro Coltrè

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