Da Artena a Segni si raccoglie l’oro rosso: lo zafferano

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L’oro rosso sta sbocciando a Segni mentre ad Artena il caldo ritarda la fioritura. Ecco come lo zafferano è arrivato nella zona da L’Aquila passando per Cori

A Segni, Artena e Cori è partita la raccolta dello zafferano. Le aziende agricole sono in piena attività per raccogliere i fiori e selezionare l’oro rosso. Così viene chiamato lo zafferano, perché il prezzo di un grammo di polvere rossa, estratta dagli stimmi del fiore, va dai 15 ai 60 euro. Così lo zafferano rappresenta una ricchezza e si affianca agli altri “ori” dei Lepini: l’olio (per il quale ci sono due concorsi attivi), il tartufo e i marroni.

Ma raccoglierlo e selezionarlo non è semplice. Ogni fiore ha tre stimmi e per fare un grammo di zafferano ci vogliono centocinquanta fiori. Per un chilo di oro rosso occorre un ettaro di coltivazione, che produce centocinquantamila fiori, da raccogliere uno ad uno, a mano e di mattina presto, dalla metà di ottobre alla metà di novembre.

Raccolta in corso a Segni

La raccolta è iniziata la settimana scorsa a Segni. Nel territorio segnino lo Zafferano Saraceno è ormai un’azienda affermata che vende l’oro rosso a prezzi competitivi, modulandoli anche in base al packaging. L’annata, secondo Alessandro Malcosti, sembra essere buona. “La raccolta è iniziata circa una settimana fa – spiega Alessandro – e possiamo ritenerci soddisfatti, anche se i conti andranno fatti alla fine”. Soddisfatto della raccolta anche Costantino Di Pietrantonio, che ha un’azienda che produce canapa, olio e spezie ed ha impiantato lo zafferano per la prima volta quest’anno.

Damiano Latini: “Ad Artena il caldo ritarda la fioritura”

Chi si prepara a raccogliere i fiori ad Artena è Damiano Latini, titolare dell’azienda agricola “L’Oro del Brigante”. Latini ha iniziato la coltivazione otto anni fa ed ora vende l’oro rosso anche online. “Per la mia coltivazione – scrive Latini sul suo sito – ho deciso di adottare il metodo Bio-Sinergico-Consapevole. Bio perché è fondamentale conoscere la biologia del terreno e dello zafferano. Sinergico perché l’uomo e la natura collaborano per migliorare l’ambiente ed il prodotto. Consapevole perché l’uomo deve agire consapevolmente per il benessere dell’intero ecosistema e dell’uomo”.

Durante la pandemia Damiano ha riconvertito in zafferaneto un uliveto che si trova nella zona del Selvatico e sta attendendo la prima fioritura del nuovo impianto. “Quest’anno – confida – stiamo due settimane indietro: fa ventitrè gradi a novembre e quindi è chiaro che c’è qualcosa che non va. Mi auguro che ci sia ancora tempo per riprendere una normale andatura, altrimenti, se veramente continua così, sarà un brutto anno”. Intanto col suo prodotto è riuscito ad andare in tv, sul digitale terrestre, e il suo zafferano viene utilizzato da uno chef importante come Francesco Bonanni. Il tutto, come sempre, è nato dalla passione. Che gli è stata trasmessa dal decano della coltivazione dello zafferano dei Monti Lepini. Cioè Quinto Marafini.

Il decano dello zafferano dei Monti Lepini: Quinto Marafini di Cori

Partiamo allora dall’inizio. Cioè da quando lo zafferano è arrivato tra i sassosi pianori lepini. A Cori per la precisione. A portarcelo da L’Aquila è stato Quinto Marafini, decano degli zafferanieri lepini. “Quando ho iniziato la sperimentazione nel 2009 – ricorda Quinto intervistato da montilepini.infocercavo una coltura che non avesse bisogno di irrigazione né di particolari trattamenti, così sono andato a prendere i primi bulbi a L’Aquila. Poi nel 2011 ho fatto il primo impianto – prosegue – e ora lo produco per venderlo al dettaglio”.

In un fazzoletto di terra a circa 750 metri sul livello del mare, oltre la fascia olivetata, Quinto ha impiantato la spezia, seguendo una rotazione colturale per aumentare la produzione. E deve combattere anche contro i cinghiali, i tassi e i topi, che vanno ghiotti dei bulbi. Malgrado ciò, lo zafferano ha attecchito sui Monti Lepini, perché non ha bisogno di irrigazione né di cure troppo intense. Quinto, dopo averlo colto e fatto essiccare, fa analizzare la spezia a un laboratorio ligure e da quel momento parte la quotazione che dipende dalla categoria.

“Il mio è di prima categoria – dice Quinto – ma il problema è sempre la commercializzazione. Venderlo all’ingrosso non conviene, ecco perché lo vendo al dettaglio, anche perché è fondamentale per combattere la maculopatia, che è una malattia di cui non si è ancora trovata la cura. D’altra parte – prosegue – è una spezia che si può usare dall’aperitivo al dessert: va nelle zuppe, nei risotti, nella paella e pure nei ciambelloni. Se consiglierei di impiantarlo? Sì, specialmente alle aziende agricole che possono integrarlo con altre colture, come gli oliveti e i vigneti”.

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