Cori, Giulianello, il tabacco di contrabbando e il fattaccio di marzo

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Quando dal tabacco “Moro” e “Zzecoìna” nasceva un’attività fiorente e abbastanza remunerativa di contrabbando tra Cori e Giulianello

di Patrizia Carucci
Il tabacco è stata una delle colture più diffuse sul territorio agricolo di Cori. Ormai è definitivamente sparita, ma fino alla metà del secolo scorso era molto fiorente e abbastanza remunerativa. Il miglior guadagno si ricavava però dalla vendita clandestina, cioè il contrabbando. Le qualità di tabacco erano “Moro” e “Erzegovina”, quest’ultima conosciuta in corese come “Zzecoìna”. Le piantagioni, più o meno grandi, erano sotto il controllo dello Stato che ne aveva il monopolio. Dalla semina, al trapianto, al raccolto fino alla consegna il coltivatore e la merce erano soggette al controllo capillare della Finanza.

Le piantine messe a dimora erano contate e la perdita anche di una sola doveva essere giustificata. Pure le foglie del tabacco raccolto venivano contate e ne andava fatto un resoconto alla consegna nel magazzino preposto. Il terreno coltivato va continuamente sorvegliato dal coltivatore, anche per scongiurare i furti, che finisce così per dormire in mezzo al campo ove si costruisce un apposito capanno per lo scopo. Lo Stato non pagava in maniera soddisfacente quella fatica. La coltivazione clandestina, invece, e la consequenziale vendita di contrabbando erano molto più proficue, ma erano fortemente ostacolate dalla Guardia di Finanza cosicché la coltivazione del tabacco è andata via via diminuendo fino a sparire.

I luoghi della lavorazione del tabacco

Il più vicino orto di tabacco a Cori stava fra via San Nicola e il Sembrivio, dove oggi c’è il palazzo dei Palleschi. Le coltivazioni clandestine venivano effettuate però nei boschi comunali nei quali si facevano crescere piante isolate di tabacco che davano un prodotto scadente. Queste foglie venivano però sostituite con quelle migliori delle coltivazioni ufficiali e poi vendute di contrabbando aumentando così di molto il guadagno. Le piante venivano coltivate dalla primavera e la raccolta del tabacco avveniva in ottobre e novembre, quindi la prima fase in contemporanea con la vendemmia (solo negli ultimi decenni la vendemmia si è anticipata a settembre).

Le foglie venivano conservate nel magazzino di stagionatura e di prima lavorazione che stava a Giulianello. La coltivazione è dura e rischiosa e anche il raccolto non è facile, ma ancor più impegnativa è la prima conservazione ed essiccatura. Appena raccolte le foglie vengono suddivise per qualità e dimensioni facendone dei pacchi nei quali sono distese le une sulle altre combacianti. Portate in locali ben areati, infilate con agone e “trinciafio” ed appese ad essiccare. Una volta secca la foglia è fragilissima, al minimo tocco si sgretola, ma poi con l’umidità autunnale assorbe molta acqua divenendo morbida e duttile per essere lavorata.

Le camere del tabacco e la “pseudofollia” dei coresi

Nelle camere dove il tabacco è lasciato ad essiccare l’aroma è fortissimo, impregna le narici e la gola provocando una certa ubriachezza e pare che ciò sia stata la causa della “pseudofollia” per la quale sono rinomati i coresi, per lo meno a quei tempi.

Il contrabbando e la continua sfida con la Finanza

L’attività del contrabbando avveniva soprattutto nelle ore notturne e gli acquirenti venivano da altri paesi. Nelle notti buie e tempestose dell’inverno, attraverso i sentieri di montagna o attraverso le campagne, raggiungevano le località prescelte per i successivi smistamenti. La merce veniva occultata nei modi più disparati, nei sottofondi dei carretti, tra le fascine di legname o addirittura, più pittorescamente, ben avvolta collocata fra strati di letame.

I contrabbandieri affinavano ogni sorta di espediente per poter passare “indenni” attraverso i paesi, in maniera occulta, come ad esempio quello di ululare come i “lupi mannari” trascinando catene e battendo sui muri e sugli usci delle case. Così se qualcuno era ancora per strada sarebbe velocemente rientrato nella propria dimora e chi invece già vi era si sarebbe sprangato dentro spegnendo ogni lume per la gran paura. In tal modo i contrabbandieri attraversavano l’abitato senza essere visti. La Guardia di Finanza aveva un bel da fare per contrastare il contrabbando del tabacco. Allestiva posti di blocco sulle strade da e per Cori o addirittura eseguiva perquisizioni anche a casa dei fumatori potenziali clienti.

“Ma gnènte finanzie’…è na cria d’uva pella cena”

A questo riguardo si narrano ancora oggi numerosi episodi più o meno tragici o aneddoti divertenti come quello accaduto alla mia bisnonna paterna Oliva Martelloni, la quale tornava dalla campagna dopo una giornata di vendemmia.

Dai filari della sua vigna aveva colto dei grappoli d’uva. Li aveva poi messi in un canestro di vimini coprendoli con un fazzolettone a quadri, uno di quelli caratteristici dei contadini di una volta. Prima di giungere a Cori, alla Buzia, incappò in un posto di blocco della Finanza che perquisiva i viandanti e i carrettieri al fine di scovare tabacco di contrabbando. La perquisizione richiedeva tempo e dunque si era formata una fila di carretti e muli, che trasportavano le uve vendemmiate, in attesa di passare.

Un finanziere, vedendola sola, le si avvicinò e le disse: “Buona donna, cosa porti nel canestro?”. “Ma gnènte finanzie’…è na cria d’uva pella cena”. Il militare non avendo dimestichezza col nostro dialetto ribatté: “Allora se porti una creatura puoi anche passare”. Poi rivoltosi ai suoi commilitoni: “Fate passare questa donna che porta una creatura nel canestro e deve darle la cena, non può aspettare tutta la fila”. Così con sua grande sorpresa evitò la coda e sfilò velocemente verso casa col suo bel cesto carico d’uva.

Il fattaccio di quel giorno di marzo

I finanzieri andavano persino ad ispezionare le case dei consumatori ritenuti potenziali acquirenti del tabacco di contrabbando e se ne trovavano venivano multati. Spesso avvenivano dei veri e propri scontri anche se difficilmente cruenti. Un giorno di marzo (non si sa esattamente l’anno) accadde un fattaccio che scosse e commosse la comunità corese. In fondo ad un burrone, limitrofo alla strada che conduce a Norma, all’altezza del pozzo del Rosario (‘ncima ‘lla pietra ‘glio Turione) attraverso la montagna, venne ritrovato il corpo di un giovane finanziere da pochi giorni facente parte della Milizia di zona.

“Rave ‘glio finanziere

Il cadavere non presentava ferite superficiali. Era precipitato dall’alto, probabilmente scaraventato di sotto dopo uno scontro corpo a corpo. Non si seppe mai chi fu il colpevole o i colpevoli del delitto che rimase così impunito. Dopo solenni funerali, il giovane venne tumulato in un angolo solitario del cimitero di Cori e non si parlò più né di lui, né dell’omicidio. Però i coresi non hanno consentito del tutto che quel tragico episodio cadesse nell’oblio. Lo hanno fatto chiamando il luogo dove era stato ritrovato il corpo del giovane militare “La rave ‘glio finanziere”.

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