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Dal 26 aprile sono finalmente libero di uscire e di recarmi in un altro comune ma con mascherina, e distanziamento sociale. Posso salire in macchina e spostarmi liberamente per incontrare un’amica che risiede in un altro comune senza dover compilare la stucchevole autocertificazione che ormai da 14 mesi annebbia il mio cervello e, credo, anche quello di coloro che devono svolgere il controllo. Ci siamo sentiti per telefono – quello ancora libero di essere usato se non intercettato – e abbiamo deciso di vederci la sera a cena, in un ristorantino “casareccio” all’aperto – Speranza docet – al centro della città, dove potremo gustare le sue specialità della cucina romanesca.

Gaviscon advance permettendo: un bel piatto di bucatini alla amatriciana, un secondo di coda alla vaccinara con tanto “sellero” e un contorno di cicoria ripassata in padella con peperoncino d’obbligo. Niente antipasto, niente dolce, sai, per rimanere leggeri. Il tutto annaffiato da un buon bicchiere di Velletri rosso e un bel bicchierino… di digestivo effervescente! Arriviamo al ristorante che sono le 20.00 circa: ci sembra un orario decente – fin troppo – per sedersi a tavola e cenare. Anzi, anche troppo presto per una cena.

Ordiniamo al cameriere che si avvicina a noi e nell’attesa ci scambiamo le solite frasi di circostanza: finalmente ci possiamo incontrare e possiamo passare un momento insieme, quanto mi è mancato stare con gli amici e amiche lontani, hai deciso cosa fare per questa estate ecc. ecc.. Un sorriso, un ammiccamento, un sorso di buon vino in attesa delle portate. Siamo all’aperto, non piove, sorseggiamo un po’ di acqua e intanto si sono fatte le 20.20. Arriva il cameriere e, credo, il proprietario del ristorante che ci ricorda che, dal momento che alle 22.00 inizia il coprifuoco, ci saranno portati i piatti ordinati uno dopo l’altro…a raffica per accelerare la consumazione.

Già, i ristoranti, secondo le norme in vigore, devono serrare i battenti alle 22.00 perché secondo gli scienziati che governano il Paese durante la pandemia, il covid-19 alle 22.00 si alza dal suo letto e, come i sonnambuli, comincia a vagare per le vie e le piazze delle città in cerca di sprovveduti vaganti clienti per poterli infettare. Secondo loro il virus riposa o quasi di giorno ma la notte,…ma la notte…dalle 22.0 in poi e fino alle 05.00 diventa cattivo e infestante nei confronti dei ristoratori e dei loro clienti.

Perché? Ma perché il covid 19 è invidioso e non può vedere clienti seduti davanti a un tavolo apparecchiato, che sia all’aperto o all’interno del locale e soprattutto perché di notte esce e non si sa quando si ritiri a vita privata, se non alle 05.00. Sì, perché – ci informa il governo – è alle 05.00 che il virus se ne torna a letto a dormire dopo aver scorrazzato per la città in cerca di prede. Famelico! Il ristoratore a questo punto si fa serio, si impiccia un poco e ci chiede: “Non vi ho mai visto da noi – plurale “majestatis”- prima d’ora. Ma abitate in questo stesso palazzo o qui vicino?”. “No”, rispondiamo. “Io abito a 20 km da qui, lei, invece, a poche centinaia di metri”. “Allora affrettatevi, sa, non vorrei essere multato e neppure che lo siate voi. Prima delle 22.00 devo risistemare il locale, Voi, invece, dovete tornare a casa per quell’ora!”. A questo punto ci guardiamo negli occhi io e l’amica e…”Se aprissimo un ristorantino, sai, uno con pochi coperti, magari sul terrazzo di casa, una specie di tavernetta condominiale?”.

In conclusione, alle 21,20, ingozzatisi, lasciamo il locale, con la cicoria che ancora doveva trovare il suo posto, nonostante il digestivo ingurgitato sempre velocemente. Saliamo in auto, lei verso casa sua e io verso la mia cittadina, nella speranza di raggiungere in tempo i nostri domicili: io trasformando le strade in una specie di pista dell’autodromo monzese. Il giorno dopo ci sentiamo telefonicamente: lei giunta a casa in pochi minuti, io dopo circa 30 minuti: salvo! Appena in tempo. E se la prossima volta ci prendessimo una stracciatella al ristorante e poi, viaaa. Felice il ristoratore e felici noi, senza rischiare multe. Molto meno il covid-19, che girerà invano per le vie e le piazze deserte, senza un’anima, anzi, senza un corpo da infettare. La prossima volta ci vedremo presso uno dei ristoranti a mare, magari al porto, tanto sono sempre aperti a tutti. Anche a noi?

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