Se un posto val bene uno scranno

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Che dire dell’ipotesi di monetizzazione della rappresentanza?

Parigi, 25 luglio 1593. La Francia è scossa da anni di conflitti di religione. Enrico III di Navarra, ugonotto, ha da poco vinto la guerra degli Enrichi per la successione al trono di Francia. La nazione è ancora divisa in fazioni religiose. Per pacificare i francesi il nuovo Re decide l’abiura. Nella cattedrale di Sant-Denis si converte al cattolicesimo e diventa Enrico IV, primo Re di Francia della Casa dei Borbone, che durerà quasi tre secoli. Si vuole che quel giorno abbia pronunciato la frase che poi avremmo studiato a scuola: “Parigi val bene una messa”.

Enrico subordinò la religione alla politica e per il suo regno fu soprannominato “Il Grande”. Affermò il primato della politica sul sacro: un principio poi sancito dalla Rivoluzione francese e dall’Assemblea Nazionale Costituente. Ai rappresentanti della Nazione da allora è attribuito il titolo di “onorevole”. L’onore è quello di rappresentare il popolo, quello di dare la propria impronta alla politica, di rappresentare gli interessi di qualche territorio o anche solo quello di piazzare i propri uomini nei posti chiave. In ogni caso lo si fa esercitando il mandato elettorale.

Come si è passato dall’abiura della religione all’abiura della rappresentanza non è ancora chiaro. Sarà la crisi economica, sarà la “quarta repubblica” caratterizzata dallo svuotamento di potere delle assemblee legislative e rappresentative, fatto sta che anche a livello locale si sente sempre più spesso qualche forma di abiura. Cioè che qualcuno che si è conquistato la fiducia del popolo, chiedendo il voto ed ottenendolo, valuta di rinunciare anzitempo al mandato elettorale per assumere incarichi che nulla hanno a che fare con la rappresentanza degli elettori.

È successo diverse volte tra Artena a Valmontone, quando gli eletti si sono dimessi per assumere incarichi in Giunta (a cui altrimenti non sarebbero arrivati) o per un’indennità mensile in qualche partecipata. In tutti i casi i precedenti sono andati a finire male. Qualcosa di analogo fu ventilato anni fa anche a Lariano, dove, da qualche tempo, si torna a parlare, insistentemente, di un’ipotesi del genere. La voce non smentita è che qualche consigliere eletto dal popolo si possa dimettere per assumere un incarico retribuito nella segreteria del nuovo sindaco, rinunciando così al mandato elettorale e a ogni potere di indirizzo politico.

Qualcuno dovrebbe studiare come nasce il fenomeno della monetizzazione della rappresentanza. A primo acchito sembra una mercificazione della funzione rappresentativa, magari ammantata da nobili propositi. D’altra parte che senso avrebbe chiedere il voto e farsi eleggere per poi dimettersi il giorno dopo e non contare più niente? Forse che dopo la sostituzione del sacro col politico, si preferisce alla politica un altro idolo? Qualcuno dovrebbe spiegarlo. Intanto speriamo che le nuove voci che si rincorrono siano smentite dai fatti. Anche perché, se un posto val bene uno scranno, che rimane della nobiltà della politica e del rapporto fiduciario tra eletti e elettori?

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