“Sanatorie amministrative” più economiche nel Lazio dopo la pronuncia della Corte Costituzionale

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La sentenza della Consulta dichiara incostituzionale la norma regionale che, nei casi di accertamento di conformità, prevedeva il pagamento di un importo pari al valore di mercato dell’intervento eseguito

Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale

Ancora una volta un caso nato nel Lazio va davanti alla Corte Costituzionale e sfocia in una pronuncia di rilievo. Era già capitato con l’Università Agraria di Valmontone, quando una sanatoria per un immobile di proprietà dell’ente era stata impugnata davanti al Commissario degli Usi Civici che ha rimesso la decisione alla Corte Costituzionale. La Consulta, oggi come allora, ha emesso una sentenza rilevante che va cassare una norma della legge regionale sull’accertamento di conformità, rendendo meno esoso il costo della sanzione da pagare per ottenere il permesso di costruire in sanatoria.

L’accertamento di conformità e la previsione della Regione Lazio

La legge nazionale (il Testo Unico dell’Edilizia) permette infatti di sanare quegli interventi edilizi che sono stati realizzati abusivamente ma che sono conformi alle norme urbanistiche sia al momento dell’esecuzione sia al momento della richiesta di sanatoria. Si tratta del procedimento che va sotto il nome di “accertamento di conformità” e che, a lungo dibattuto nella giurisprudenza amministrativa, è stato più volte chiamato “sanatoria amministrativa”.

Per ottenere questa particolare “sanatoria”, la legge nazionale prevede che chi la richiede debba pagare un importo pari al “doppio degli oneri concessori, ovvero al contributo di concessione in caso di opera gratuita a norma di legge”. Ma nel Lazio da 10 anni a questa parte le cose sono state molto più esose. La legge regionale sulla “Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia” (la n. 15 del 2008) prevede infatti, in luogo del doppio degli oneri concessori, “un importo pari al valore di mercato dell’intervento eseguito”. Una previsione piuttosto dura, pensata come deterrente, che è stata ritenuta irragionevole dalla Consulta con la sentenza n. 2/2019.

La pronuncia della Consulta

Si badi bene però: la Corte Costituzionale ha ritenuto irragionevole la norma regionale non perché l’importo fissato nell’epoca della Giunta Marrazzo fosse troppo elevato rispetto a quello della legge nazionale (il doppio degli oneri concessori). No. L’irragionevolezza è piuttosto dovuta al rapporto con un’altra previsione delle legge regionale 15 del 2008: quella (art. 20) che disciplina “il procedimento di sanatoria degli interventi edilizi eseguiti in base a titolo abilitativo successivamente annullato”.

In conformità con la legge nazionale, in quel caso la legge regionale “prevede che, quando non sia possibile rimuovere i vizi della procedura amministrativa o ripristinare lo stato dei luoghi, si applichi al responsabile una sanzione pecuniaria pari al valore venale dell’opera, alla cui integrale corresponsione fa seguito il rilascio del permesso in sanatoria”. L’identità delle due sanzioni da applicare a situazioni diverse è stata ritenuta irragionevole, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, portando la Consulta a eliminare dall’universo giuridico la norma della Regione Lazio.

Dopo la sentenza che succederà? E’ probabile che per le pratiche in via di definizione si applichi quanto previsto dalla normativa nazionale, più favorevole ai richiedenti. Sarà poi da vedere se la Regione intenderà nuovamente intervenire sul tema.

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