Parasite, storia di lotta di classe e guerra fra poveri.

Mandalo ai tuoi amici


Segui La Nuova Tribuna su Telegram (clicca qui e iscriviti al canale) o su WhatsApp (clicca qui e registrati)


 

“Parasite” è sicuramente il film più discusso del momento. Trionfante agli Oscar (miglior regista, miglior sceneggiatura originale, miglior attore protagonista e, prima volta nella storia, miglior film) la pellicola di Bong Joon Ho è riuscita ad arrivare al pubblico occidentale nonostante il cast e l’ambientazione siano 100 per cento coreane. Il film è si molto coreano ma fruibile anche universalmente grazie ad una trama dalla premessa semplice ma dai risvolti complessi e profondi: una famiglia poverissima dei bassifondi di Seoul ha un’ opportunità di scalata sociale quando il Figlio maschio inizia a dare ripetizioni di inglese alla figlia di una famiglia ricca, ma per ascendere dalla loro condizione dovranno truffare e raggirare la famiglia ricca, sebbene questo avrà conseguenze rischiose e inaspettate.

Il film è un amalgama perfetto di generi, commedia anche un po’ nera, dramma e thriller per rappresentare metaforicamente la netta, spietata, rigidamente ingiusta demarcazione tra classi sociali presente in Corea, ma il discorso potrebbe essere allargato al mondo intero nel suo essere basato su di un capitalismo spietato. La famiglia povera che per migliorare la sua condizione deve per forza truffare, inventando referenze che non ha, per essere riconosciuta dai borghesi che considerano i poveri come invisibili, relegati ai putridi quartieri di seminterrati fatiscenti, quei poveri che i ricchi riconoscono dall’ “odore” di chi ha sempre lo stesso odore: la puzza della povertà.

Se da un lato viene messa in scena la lotta di classe, dall’ altro viene mostrata anche la guerra tra poveri: i poveri che si scannano senza pietà per le briciole buttate via dai ricchi, i poveri che anziché collaborare si calpestano tra di loro per non perdere la minima riconoscenza ottenuta dai ricchi, perché il vecchio principio “Mors tua vita mea” è più forte di qualunque ideale.

Nessuno è presentato come perfetto, né i ricchi né i poveri; come tipico del cinema orientale infatti, i personaggi non sono mai totalmente buoni o cattivi, ma anche i protagonisti per cui siamo indotti a tifare, si dimostrano eticamente discutibili o addirittura spietati in alcuni casi. Un film condito da un umorismo amaro, che non vede una reale soluzione al classismo, ma una passiva accettazione di tale sistema anche dagli stessi poveri che infatti finiscono per combattere tra di loro.

Dal lato tecnico, il film è maestoso: la regia sobria ma pregna, potente; la fotografia magistrale, patinata e avvolgente nella lussuosissima magione dei benestanti, e secca e “sporca” nell’ambiente miserabile dei protagonisti.

Se si vogliono trovare nelle pecche, io le ho ravvisate dal punto di vista della trama: ci sono delle forzature, degli espedienti molto convenienti e poco plausibili di cui il Film ha bisogno per andare avanti, per cui si deve essere disposti a chiudere un occhio. Ho contato 2 o 3 deus ex machina che sbrogliano situazioni difficili per i protagonisti, ma la cosa inficia la credibilità del tutto relativamente, se si è disposti a sacrificare il realismo della trama per il messaggio che il regista vuole veicolare.

Un film sicuramente notevole, di un regista che riesce dopo vari lavori ad arrivare meritatamente al grande pubblico.

Kevin McNally

13/02/2020

WhatsApp Contatta La Tribuna