Appello ai sindaci

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Da settimane non sentiamo parlare che di guerra. Il covid pare sparito e i principali quotidiani italiani sembrano essere quasi monotematici. Pare sia iniziata una seduta di ipnosi collettiva su un popolo che invece avverte come urgenti i problemi legati alle bollette astronomiche, al caro carburanti, all’economia che non riparte e che, anzi, potrebbe andare peggio quando le sanzioni avranno effetto.

La guerra in Ucraina? Per quasi tutti è la fonte della paura di un’estensione del conflitto. Per la metà degli alunni delle scuole, invece, è già fonte di angoscia (leggi qui il sondaggio). La narrazione globale appare assai lontana dalla narrazione locale. Ma c’è un elemento che Zygmunt Bauman aveva intuito e descritto: la capacità del globale di penetrare nella società locale, condizionandola. E questa narrazione globale non sta prendendo una china rassicurante.

Da qualche tempo, anche in Italia, si inizia ad accennare in modo sinistro a guerre nucleari e a interventi nel conflitto che, così, passerebbe da locale a regionale, con il rischio di una Terza Guerra Mondiale. Periodicamente commentatori qualificati prospettano questa ipotesi, pur premurandosi di rassicurare che non ci si arriverà. Ma già parlarne ha un qualche significato. Infatti non rassicurano le dichiarazioni di alcuni esperti di geopolitica o il cambio della prassi decennale italiana nel (non) fornire armi a nazioni non alleate in guerra. Non è un caso che il Papa abbia messo in guardia sul fatto che l’idea di una guerra atomica stia “guadagnando terreno nell’inconscio”.

Bisogna reagire contro questa narrazione fatta da persone scollegate dal sentimento popolare (e in alcuni casi collegate alle élites finanziarie). Spero di sbagliarmi ma mi pare che chi sta ai piani più alti non riesca a capire che in Italia c’è grande insoddisfazione per la fornitura di armi all’Ucraina. Gli italiani non vogliono in alcun modo misurarsi con un’altra guerra. Vogliono essere neutrali e vogliono che il conflitto in Ucraina si risolva il prima possibile e diplomaticamente. Di più: vorrebbero che finisse lo scontro tra est ed ovest nel cuore dell’Europa. Vorrebbero che si perseguissero con convinzione politiche di disarmo in Europa e di amicizia tra i popoli.

Credo allora che gli unici in grado di far ragionare tanti commentatori nazionali siano i sindaci, i consiglieri comunali e i consiglieri regionali, che sono l’istituzione più vicina alla popolazione, della quale hanno il polso. In passato i sindaci sono scesi in piazza in massa, ad esempio per la riforma dell’abuso d’ufficio o in sostegno della Segre. In questi giorni alcuni sindaci, che hanno physique du rôle e consapevolezza degli eventi storici, hanno intuito che le cose non vanno bene. Credo che loro possano giocare un ruolo importante.

In tutta Italia ci sono già state molte manifestazione per la pace mai abbastanza messe in luce dai media. A questo punto c’è bisogno che il messaggio parta da una piazza nazionale. Una piazza che sia in grado di dare un segnale forte su come la pensano gli italiani sulla politica nazionale ed estera. E che sia sostenuto in modo diffuso e autorevole. Credo che soltanto i sindaci, i consiglieri comunali e i consiglieri regionali, agendo insieme, potrebbero avere la capacità e l’autorità democratica di assolvere a questo compito, cambiando la narrazione corrente.

Il 10 giugno 1940 non avevamo alcuna forma di rappresentanza democratica simile, c’erano i podestà e non c’era nessuno in grado di far sentire la voce della popolazione. All’epoca gli italiani erano animati dai sentimenti della folla, che trascina, trasporta e schiaccia tutti l’uno contro l’altro, come un sol corpo. In piazza si andava per applaudire e ratificare. Oggi ci si potrebbe andare per supplire a una classe parlamentare che ha tanto bisogno di essere aiutata nel rappresentare il sentimento popolare.

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